Museo San Marco Firenze

Il Museo di San Marco a Firenze occupa gli spazi del del convento domenicano che venne ricostruito dal Michelozzo in circa 10 anni a partire dal 1436 seguendo un incarico di Cosimo il Vecchio de' Medici. Michelozzo è riuscito a creare un ambiente assolutamente moderno e suggestivo. Il convento ebbe un ruolo molto importante nella vita religiosa e culturale della città come testimonia anche la vicenda di frate Gerolamo Savonarola.

La fama del museo è dovuta soprattutto ai dipinti di Beato Angelico che affrescò molti ambienti del convento. Importanti sono anche le opere di Frà Bartolomeo, e la sezione dedicata a reperti provenienti da edifici del centro storico demoliti nell'Ottocento.

Ledificio si presenta come un complesso di grandi proporzioni, con tutti i caratteri dell'architettura fiorentina rinascimentale.

Al piano terreno troviamo il grande chiostro dove si svolgeva la vita comunitaria: l'Ospizio per i pellegrini adiacente all'ingresso, il Refettorio, la Sala del Lavabo, la Sala capitolare e lo spazio riservato alla cucina e ai locali di servizio.

Il Museo di San Marco di Firenze fu aperto al pubblico e quindi reso visitabile nel 1869; qui ha sede l'importante ed antico convento dei Domenicani, demanializzato nel 1866, in seguito alle soppressioni governative.

Sfruttando e includendo nella nuova costruzione sopraelevata rispetto alla precedente le strutture murarie preesistenti - evidenziate anche dai recenti ritrovamenti (1992) di frammenti di pittura murale trecentesca sotto il pavimento di alcune celle - Michelozzo ha creato un convento articolato in vari ambienti con modernissimi criteri di funzionalità rispondenti alle esigenze della comunità conventuale, ambienti che il Beato Angelico (1395 ca. - 1455) ha arricchito con uno straordinario ciclo pittorico legato ai luoghi della meditazione religiosa singola e collettiva, che il visitatore scopre in un lento e armonioso percorso contemplando gli ambienti affrescati nelle celle e nella sala del Capitolo, e i dipinti su tavola ordinati nella grande sala dell'Ospizio.

E' proprio la caratteristica di questo Museo la contestualità e l'affinità ideale tra contenitore e contenuto. Si ha la possibilità di percorrere e di entrare dentro le più belle architetture del rinascimento fiorentino come il chiostro di Sant'Antonino nella sua suggestione di pace, misura, razionalità, fino a giungere alla purezza ed al nitore intellettualistico della biblioteca al piano superiore, capolavoro di Michelozzo, in un continuo scambio di affinità ideali con le opere dipinte in gran parte dal Beato Angelico.

Il chiostro, costruito all'inizio della ristrutturazione del convento, costituisce il suggestivo punto di partenza della visita al complesso di San Marco, in parte museo demanializzato ed ancora in parte convento. Gli affreschi delle lunette realizzati a partire dall'inizio del '600 narrano episodi della vita del Santo Domenicano Antonino Pierozzi, priore di San Marco al tempo della ricostruzione del convento e poi Arcivescovo di Firenze dal 1446. Sul chiostro di Sant'Antonino si apre la Sala dell'Ospizio, struttura medievale che Michelozzo ricoprì con volte a crociera a sostegno del dormitorio soprastante, riuscendo a trasformare in senso rinascimentale lo spazio tipicamente gotico dell'ambiente, conferendogli misura e razionalità.

Nella sala, che costituisce da sola il più grande museo monografico di un artista del '400, sono esposte quasi tutte le opere del Beato Angelico, in possesso delle Gallerie Fiorentine e qui trasferite dal 1921. Tra queste ricordiamo il 'Giudizio Universale', la "Deposizione", la 'Pala di Bosco ai Frati', il grande 'Tabernacolo dei Linaioli', la cui incorniciatura marmorea è stata eseguita sul disegno del Ghiberti, la "Pala di San Marco" (part. predella). Proseguendo il percorso nel chiostro si passa alla grande Sala del Capitolo con la "Crocifissione" dell'Angelico e alle sale laterali che portano al Refettorio Grande. San Marco non è infatti soltanto il Museo del Beato Angelico: negli ultimi anni sono state recuperate alcune sale adiacenti il Grande Refettorio ove erano situati gli ambienti di servizio, fra cui la cucina, in cui hanno trovato tra gli altri esposizione un buon numero di dipinti di Fra' Bartolomeo, il secondo frate pittore domenicano, che visse nel convento nel primo decennio del '500. Di particolare interesse la grande 'Pala della Signoria', e nella sala del Lavabo l'affresco raffigurante il "Giudizio Universale" oggi ancor meglio visibile per la nuova collocazione e il recente restauro.

Di grande impatto è anche il Refettorio grande con il dipinto della 'Cena Miracolosa di San Domenico' affrescata nel 1536 da Giovanni Antonio Sogliani. La scelta del tema e di un'opera 'ordinata e semplice' suona come esplicito richiamo all'Ordine inquadrabile nel clima culturale fiorentino che, ormai lontano dall'anticonformismo del primo manierismo del Rosso e del Pontormo, si acquietava nel consenso politico per i Medici ed in quello culturale per un'arte ufficiale e di corte.

La magnifica sala che parzialmente appartiene ancora alla primitiva costruzione trecentesca del complesso ospita oggi un interessante scelta di opere devozionali di pittori della Scuola di Fra' Bartolomeo, provenienti in gran parte dai conventi soppressi. I due grandi chiostri affrescati - quello pertinente il museo - nei primi anni del '600 e l'altro - ancora oggi utilizzato dai frati del convento - affrescato nei primi anni del '700 completano il percorso. Nella vecchia "dispensa" sono adesso collocate opere di artisti che hanno sentito, in un momento della loro attività, il fascino del Beato Angelico. Si passa quindi al secondo cenacolo, quello del Ghirlandaio. L'affresco raffigurante 'L'ultima Cena' (1480), recentemente restaurato, è collocato in un ambiente prossimo alla Foresteria nato per accogliere ospiti di riguardo in una sala indipendente dal Refettorio Grande destinato invece ai frati. Il tema, trattato già da Andrea del Castagno in Sant'Apollonia, è qui espresso in termini di chiarezza e di eleganza formale, pur nella densità dei simboli allusivi minuziosamente descritti in un realismo formatosi sui grandi testi di arte fiamminga visibili a Firenze, come il 'Trittico Portinari' di Hugo Van Der Goes.

Una parte di estremo interesse del Museo è costituita dalla raccolta di reperti (in pietra, legno o affreschi a carattere decorativo) salvati dalla demolizione tardo ottocentesca del vecchio centro di Firenze che cominciarono ad affluire, per volontà di Guido Carocci, nel 1894 dando origine al Museo della vecchia Firenze, una sezione speciale inaugurata nel 1898. Tale sezione ampliata, anche successivamente, è collocata attualmente nella Foresteria e nei sotterranei del museo e nel Chiostrino dei Silvestrini.

Michelozzo, Beato Angelico e Cosimo I e Sant'Antonino sono i veri protagonisti di San Marco: tra l'architettura dell'uno, la pittura dell'altro, la filosofia umanistica e il pensiero domenicano, si avverte una tale affinità, una tale decisa continuità da rendere perfettamente realizzato un rapporto biunivoco profondo tra contenitore e contenuto, in cui la religiosità domenicana nella sua lezione meditativa più alta si compenetra nell'intellettualismo della filosofia umanistica. Al primo piano la suggestione di questa complessità è accresciuta dal connubio tra l'effetto di straordinario nitore intellettualistico della struttura basilicale della biblioteca, tempio del sapere, e il nitore mistico della ritmica partitura bianco - grigia delle lunghe pareti dei corridoi. Le nervature arcuate delle porte delle celle sembrano moltiplicarsi all'infinito dalla penombra verso la luce delle finestre in fondo, luce reale trascolorante nell'irreale al pari di quella che, dentro ogni cella, si sprigiona dall'affresco e si propaga intorno.

Giunti al primo piano, con l'introduzione della famosa immagine della 'Vergine Annunziata', ormai simbolo codificato nell'immaginario collettivo cristiano, si apre il percorso alle celle ed ad un ciclo pittorico che non ha uguali nel mondo, trionfo di bianchi densi di luce, che perfettamente concretizzano un programma che è di meditazione religiosa e filosofica insieme, e di colori astratti e irreali, di mano del Beato Angelico per le prime dieci celle ('Trasfigurazione'; 'Noli Me Tangere'; 'Cristo Deriso').

Il rigore intellettuale dello spazio architettonico dipinto si tramuta in spazio reale nella vicina biblioteca michelozziana, archetipo delle biblioteche rinascimentali. Tra le più famose creazioni architettoniche di ogni tempo, è uno dei più fulgidi esempi di architettura rivista alla luce delle novità brunelleschiane, vero punto di incontro delle due anime di San Marco, quella religiosa e quella laica, biblioteca conventuale che prima in Italia fu aperta al pubblico, e già per questo, profondamente 'umanistica'.
L'eleganza dello spazio disegnato da agilissime colonne, la luminosità, l'equilibrio di ogni elemento, fanno sembrare naturale e logico quello che è frutto di un risultato estremamente calcolato.

Nella biblioteca sono esposti a rotazione importanti codici di provenienze diverse (oltre cento corali miniati) tra cui quelli dell'Angelico (cod. numero 588) e di Zanobi Strozzi. Benché il fondo di San Marco - con i libri del Niccoli, i codici del Salutati, i codici greci - sia stato poi in gran parte disperso, la biblioteca Michelozziana fece da sfondo ai momenti più decisivi del Quattrocento fiorentino, al Concilio, al sangue delle congiure, alle fiamme del rogo del Savonarola, che proprio sull'ingresso della biblioteca venne catturato.

Fra' Girolamo Savonarola, figura estremamente complessa oggi al centro di una profonda revisione storico-critico, abitò e fu priore del convento dal 1491 al 1496 ed oggi anche di lui il Museo presenta delle tracce come i ritratti dipinti da Fra' Bartolomeo e i dipinti coevi con i "roghi" in piazza della Signoria esposti insieme alle sue reliquie.
La visita al Museo si snoda così in un percorso antico di vita claustrale e di storia che scaturisce da questo rapporto profondo tra contenitore e contenuto in un filo conduttore storico che lega i personaggi che qui hanno vissuto, attraverso opere qui conservate, anche se provenienti da sedi originarie diverse.

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