Gli artisti Toscani e le opere d'arte del Rinascimento

Firenze è per definizione città d'arte. Durante il periodo del Rinascimento passarono i più grandi nomi della pittura, della scultura e dell'architettura. A Firenze sono inoltre nati artisti del calibro di Giotto, Cimabue, Brunelleschi, Arnolfo, Donatello, Botticelli, Ghiberti, Masaccio, Beato Angelico, Verrocchio, Ghirlandaio, Andrea del Castagno, Lippi, della Robbia per finire con Michelangelo e Leonado da Vinci.
E con loro vissero a Firenze i maggiori esponenti della poesia del tempo; nomi importanti della letteratura come Dante, Boccaccio, Villani, Gucciardini, Poliziano e Machiavelli. Questa predominanza dell'arte e delle poesia volle dire anche primato del Toscano e del Fiorentino fra i dialetti Italiani. Dalla memoria di questi grandi ed altri artisti la città reca memoria o nel nome di una piazza o di un palazzo, di un ponte o di una via. Molte targhe di pietra con citazioni dantesche sono riportate in ogni angolo delle strade, torri, chiese e palazzi del centro storico. Sbaglierebbe il visitatore frettoloso a sorvolare, perchè anche questo è un modo per penetrare nella personalità e nella storia della città assaporando goni piccolo dettaglio che riporta a grandi opere del passato.

Arti a Firenze

Le Arti a Firenze erano corporazioni organizzate di artigiani, di mercanti e di lavoratori in generale ed hanno un'antichissima origine. Nelle grandi città si distinguevano in Arti Maggiori, formati in modo particolare da collegi industriali e mercantili e da singoli professionisti, e Arti Minori formate dagli addetti ai vari mestieri.
Nella Firenze Comunale e nei secoli XIII XIV e XV le arti si introdussero nel governo cittadino, ampliando progressivamente la sloro presenza nelle massime istituzioni ed il proprio peso nelle importanti decisioni epolitiche ed amministrative. Le Arti in molti casi si trovarono così ad amministrare i fondi del governo ma successivamente tornarono ad essere semplici associazioni artigiane, interessate soltanto all'organizzazione del lavoro ed all'assistenza dei loro iscritti. Vennero soppresse nel 1770.
Le Arti maggiori fiorentine erano sette; Mercanti, Giudici e Notai, Cambio, Lana, Por Santa Maria o della Seta, Medici e Speziali, Vaiai e Pellicciai.

Il Primo Rinascimento

Il rinascimento a Firenze rappresenta una novità anche in opposizione al gotico internazionale. Rappresenta la rinascita della classicità del mondo antico (romanità). L'arte rinascimentale ha dei debiti con la letteratua del Rinascimento (ripresa del latino, Humanae littere). Firenze ha sempre avuto una classicità di capitelli, colonne, cornici è quindi non è mai avvenuto uno strappo netto con il passato.
Il merito dell'avvento del Rinascimento è dato da tre importanti figure: Brunelleschi (architettura), Masaccio (pittura), Donatello (scultura) e Leon Battista Alberti: dopo aver visto la rinascita del Classico scrive tre trattati (de pictura, de statua, de re architettoria) che completano il contributo dei tre artisti principali. È da considerare comunque un determinato clima culturale, una committenza illuminata che condivide un determinato stile culturale ispirato all'antico. Il rinascimento da Firenze si diffonde a Rimini, Urbino, Venezia e Milano (che saranno le ultime), e poi in tutta Europa. Il gotico era un linguaggio che trasfigurava, idealizzava la natura mentre il Rinascimento è un linguaggio molto più simile allo stile di vita, è più realistico.
Una volta che si sia attribuito al termine Rinascimento il compito di indicare il periodo in cui, metodologicamente, vengono elaborate le premesse della moderna visione del mondo nelle arti figurative, la ricerca prospettica riassume in sé compiutamente il significato di un'evoluzione che si compie, esprimendo l'esigenza dell'uomo di situarsi in uno spazio razionale, misurabile matematicamente, rifiutando quello indefinito della civiltà medievale.
All'interno di questa nuova concezione dello spazio vanno considerati alcuni fenomeni concomitanti, tra cui il recupero, non privo di interpretazioni fantasiose e di mitizzazioni, dell'antico, individuato come proprio precedente culturale.

Rinascimento a Firenze e in Italia

Identificando nella prospettiva il dato caratterizzante del Rinascimento, si fissa ormai unanimemente in Toscana, a Firenze, nei primi decenni del XV sec., la sua genesi, pur tenendo presente che molti fermenti e tendenze in quel senso dovevano essere operanti fin dagli ultimi decenni del XIV sec., con la consapevolezza che ogni classificazione storica comporta irrimediabili forzature. Si è dunque ormai d'accordo nell'assegnare all'Italia il primato nell'elaborazione di questa nuova cultura. Più problematico è invece stabilire l'altro estremo cronologico: anche in questo campo le proposte variano col variare del concetto di Rinascimento. Oggi si tende a eliminare la tradizionale distinzione tra Umanesimo, Rinascimento e manierismo, e si preferisce parlare di primo, secondo e terzo Rinascimento, riconoscendo come unitari nella sostanza questi tre momenti. Si tende perciò a estendere il Rinascimento fino alle soglie dell'età barocca, poiché, in effetti, è solo con il XVII sec. che muta radicalmente l'orizzonte culturale, oltre che geografico, politico ed economico, dell'uomo e muta intimamente la sua concezione dello spazio, situandosi ora egli in un universo illimitato e non più definibile. In Italia è più proficuo trattare l'arte del Rinascimento italiano attraverso l'esame, forzatamente rapido, dei diversi centri artistici che vennero in prosieguo di tempo toccati dalle innovazioni elaborate a Firenze, alle quali risposero in vario modo, a seconda delle proprie tradizioni artistiche e della loro situazione storica. Giova a questo proposito precisare, preliminarmente, che il Rinascimento, come ogni altro momento storico-artistico, conobbe al suo interno molteplici atteggiamenti e aspetti spesso contrastanti, tali da far parlare di un 'antirinascimento'.
Occorre tener presente da un lato che ogni centro, per non dire ogni artista, aderì alle nuove proposte con una tradizione alle spalle, che non scomparve del tutto e spesso lo portò a espressioni originali, e dall'altro che è ormai caduta la tradizionale immagine di un Rinascimento olimpico e sereno in tutte le sue manifestazioni, risiedendo altrove la sua peculiarità.

Le opere d'arte

Con l'opera di Filippo Brunelleschi si fa cominciare la nuova arte: l'architetto fiorentino, la cui impresa più famosa fu l'esecuzione della cupola di Santa Maria del Fiore senza armature, influì profondamente sull'ambiente artistico fiorentino soprattutto attraverso le sue ricerche teoriche; infatti il rinnovamento nel campo della scultura, con Donatello, e in quello della pittura, con Masaccio, avvenne entro la sua orbita. Pure vicino al Brunelleschi, anzi uno dei primi che ne compresero il significato, fu Leon Battista Alberti, con cui si iniziò una sistemazione critica della nuova arte: con lui nacque la figura del trattatista, così tipica del secolo seguente, e nacquero concetti artistici che la critica moderna avrebbe fatto propri, come quello di genio, che veniva finalmente a riconoscere alle arti figurative una dignità culturale che il medioevo aveva ignorato.
Le altre figure di artisti fiorentini gravitarono intorno a quelli menzionati: sono da ricordare, nel campo della pittura, l'Angelico, Filippo Lippi, Paolo Uccello, Andrea del Castagno, Domenico Veneziano, presso il quale avvenne la formazione di Piero della Francesca, forse il maggiore artefice della diffusione della visione prospettica nel resto d'Italia, con i suoi molteplici viaggi e incontri. Nel campo della scultura il vigoroso realismo di Donatello si stemperò nel raffinato calligrafismo dei Rossellino, di Agostino di Duccio, di Michelozzo, meglio noto come architetto, di Desiderio da Settignano e soprattutto di Luca Della Robbia. Quest'ultimo fu l'inventore della fortunata tecnica della terracotta monumentale invetriata, la cui delicatezza esprime bene il nuovo clima culturale e artistico formatosi a Firenze, nella seconda metà del secolo, sotto la signoria di Lorenzo il Magnifico, che vide fiorire artisti spesso piacevolmente illustrativi, come Cosimo Rosselli, Filippino Lippi, il Ghirlandaio, o di estrema eleganza, come il Pollaiolo, Verrocchio, Baldovinetti, Piero di Cosimo e soprattutto Sandro Botticelli, forse la figura più rappresentativa. Gli architetti Giuliano e Benedetto da Maiano, il Cronaca, Giuliano da Sangallo portarono avanti, alla ricerca di una spazialità meno astratta, la lezione brunelleschiana. Fuori di Firenze, la corte dei Montefeltro a Urbino fu uno dei primi centri a recepire la nuova arte, grazie ai soggiorni di Piero della Francesca: sotto la sua diretta influenza sorse il Palazzo Ducale, opera iniziata da Luciano Laurana e portata a termine da Francesco di Giorgio Martini, e toccati in diversa misura dalla sua arte furono gli altri artisti che vennero a contatto, più o meno direttamente, con il centro urbinate: Melozzo da Forlì, il giovane Bramante, Francesco Laurana e, assieme ad altre componenti, Perugino e l'ambiente umbro, Luca Signorelli e i camerinesi Giovanni di Piermatteo il Boccati e Girolamo di Giovanni. Oltre a Rimini, dove resta un affresco di Piero nel Tempio Malatestiano dell'Alberti, la presenza dell'artista toscano fu decisiva anche per le sorti artistiche del ducato di Ferrara, dove, con il duca Borso d'Este, fiorì l'architettura di Biagio Rossetti e la scuola pittorica, arricchita di elementi padovani e fiamminghi, di Cosmè Tura, Francesco del Cossa ed Ercole de' Roberti, questi ultimi partecipi della decorazione a fresco del palazzo Schifanoia, la più famosa impresa rinascimentale di questo ambiente. Il soggiorno di Donatello, insieme con quelli di Paolo Uccello e del Lippi, lasciò invece una profonda impronta a Padova dove, intorno alla singolare figura di Francesco Squarcione, fiorì una folta schiera di pittori, su cui spicca Andrea Mantegna, attivo soprattutto a Mantova, presso la corte dei Gonzaga dove, negli affreschi della Camera degli Sposi, nel Palazzo Ducale, lasciò il suo capolavoro.
L'arte padovana venne raccolta, sia pure con molti mutamenti dovuti alla persistente tradizione gotica, in Lombardia, soprattutto da Vincenzo Foppa e dall'Amadeo, mentre a Venezia ispirò specialmente Giovanni Bellini, nella cui formazione, come in quella di Vittore Carpaccio, fu importante il contatto con Piero e più tardi, con Antonello da Messina, l'unico artista di rilievo nell'Italia meridionale del tempo, anch'egli a conoscenza delle novità pierfrancescane.

Il secolo successivo, i cui primi decenni sono occupati dal cosiddetto Spieno Rinascimento, vide il predominio artistico di Roma, che nel Quattrocento aveva avuto solo occasionali realizzazioni, come gli affreschi parietali della Cappella Sistina e quelli dell'appartamento papale. Se Leonardo svolse a Firenze e in Lombardia la sua attività più significativa, Donato Bramante, dopo un lungo soggiorno lombardo, lasciò a Roma le sue opere più mature e più fortunate, così come Raffaello e Michelangelo, sotto il pontificato di Giulio II e Leone X. Bramante diede l'avvio all'opera forse più rappresentativa del rilancio politico della Roma papale: la ricostruzione della basilica di San Pietro, che con l'intervento di numerosi artisti fu ultimata soltanto nel secolo successivo, e lasciò nel tempietto di San Pietro in Montorio un'opera in cui si esprime perfettamente la nuova concezione dello spazio che anima questo secolo, fatta propria dai numerosi architetti bramanteschi. Lo spazio è ora avvertito in termini di vita e non più di astratta geometria, ed esso si pone, nei confronti dell'uomo, in un rapporto dialettico. Lo stesso senso, naturalmente con esiti estetici autonomi, contiene lo sfumato leonardesco, o la pittura tonale inaugurata da Giorgione, e l'elaborazione di una nuova spazialità è uno dei meriti più alti di Raffaello. Le opere più famose dell'artista urbinate restano gli affreschi delle Stanze vaticane e della Farnesina, altro edificio estremamente rappresentativo della Roma rinascimentale, con le decorazioni di Sebastiano del Piombo e del Peruzzi. In Raffaello, e ancor più negli artisti della sua folta scuola, fu presente anche una seconda componente di grande portata; con il nuovo secolo mutò anche la considerazione della cultura classica che subì un profondo cambiamento: se il Quattrocento aveva manifestato nei suoi confronti un interesse per lo più erudito o umanistico, ora essa assolveva a una funzione fondamentalmente edonistica, offrendo lo spunto per raffinate evasioni. Tale edonismo, che si manifestava anche in un impiego sempre più illusionistico della prospettiva, conteneva già in sé i germi di una crisi che doveva travagliare quasi tutti gli artisti dei decenni successivi, in corrispondenza del declino economico e politico dell'Italia. Michelangelo fu uno degli interpreti più precoci e profondi di questa crisi, e con la sua lunga e tormentata opera fece da tramite all'ultima fase, e più problematica, del Rinascimento: il cosiddetto manierismo. Specialmente con le opere della maturità, come il Giudizio universale della Sistina, o nelle Tombe medicee fiorentine, si prospettano soluzioni ardite e inusitate che rivelano ormai il superamento dell'ideale prospettico rinascimentale. Furono soprattutto gli artisti fiorentini, come il Pontormo, il Rosso Fiorentino, il Bronzino, forse perché toccati più da vicino dalla decadenza economica della loro città, a manifestare con maggiore evidenza e consapevolezza i segni di questa crisi, in opere tormentate o di raffinato intellettualismo; ma un senso analogo esprimono anche realizzazioni architettoniche che tendono spesso a esitì astrusi, ricercati, o a freddi accademismi, come accadde talvolta a Vignola, Peruzzi, Ammannati, Ligorio e Vasari che in certo senso può considerarsi il teorico del manierismo, con il suo culto esclusivo per Michelangelo.
Gli esempi di Michelangelo vennero ripresi e meditati anche dagli scultori, fino alle ricerche di estrema eleganza, ma non prive di raffinati intellettualismi, di Cellini e di Giambologna. Al di fuori dell'area fiorentino-romana che, a parte Venezia, predominò sul resto d'Italia per tutto il secolo, occorre ricordare, in Lombardia, l'attività architettonica del Tibaldi, e, in Emilia, la pittura del Correggio: i suoi affreschi di Parma che, con elementi mutuati da Leonardo e da Raffaello, derivano in ultima istanza dai suggerimenti prospettici contenuti nella ricerca prospettica del Mantegna, sono la premessa indispensabile della grande pittura monumentale barocca. Accanto al Correggio si svolse l'attività del Parmigianino, uno degli artisti più inquieti del secolo, e di Niccolò dell'Abate.
In Lombardia, più che la schiera dei leonardeschi, merita un cenno la pittura complessa del Bramantino e soprattutto la scuola bresciana, con Romanino, Moretto e Savoldo, che, sviluppando la vocazione realistica propria della tradizione lombarda, pose le basi dell'arte di Caravaggio. Vicina, spiritualmente, alla pittura bresciana, ma arricchita da apporti veneti e romani, appare l'opera di Lorenzo Lotto, figura solitaria ma di grande rilievo. Dopo aver ricordato, a Genova, l'attività architettonica di Galeazzo Alessi, non resta che esaminare l'ambiente veneto, altro grande capitolo dell'arte rinascimentale. Venezia rimase per lungo tempo estranea, come avvenne nel campo politico, ai problemi dibattuti dagli artisti del resto d'Italia. La pittura tonale, inaugurata da Giorgione, che contiene in sé la nuova concezione spaziale comune agli altri artisti italiani, venne portata avanti da Tiziano, e da altri pittori di minor prestigio, senza evidenti incertezze né riserve. L'arrivo di Jacopo Sansovino, nel 1527, in seguito al sacco di Roma (e quello quasi contemporaneo di Giulio Romano a Mantova), non turbò lo svolgimento dell'arte veneta, anzi contribuì a rendere maggiormente presenti a quegli artisti gli ideali della classicità, di cui Palladio sarebbe stato uno degli interpreti più originali con il rinnovamento urbanistico di Vicenza e le numerose ville sparse nel territorio. Gli si può affiancare la pittura illustrativa e serena del Veronese, mentre con i Bassano e soprattutto con il violento chiaroscuro di Tintoretto sembra concludersi lo splendido isolamento artistico di Venezia nel Cinquecento.
In questo ambiente, in questi anni, maturò l'arte allucinata del Greco, che poi doveva svolgersi in Spagna.

Rinascimento in Europa

Fuori d'Italia. Quando si ponga in Italia il centro in cui nasce e fiorisce il Rinascimento, l'esame dell'arte rinascimentale europea coincide con lo studio della diffusione dell'arte italiana in Europa e del diverso modo con cui essa venne accolta da parte dei vari paesi. Comunque non si tratta tanto di stabilire a quale nazione spetti il ruolo di guida, quanto di analizzare gli elementi in base ai quali l'arte europea abbia ritrovato una certa unità dopo il periodo gotico, età in cui fondamentalmente unitarie apparivano le manifestazioni artistiche dei diversi paesi. Per questo, accanto ai soggiorni di artisti italiani all'estero, riveste una notevole importanza l'influenza della pittura fiamminga su quella italiana (Van der Weyden, Van der Goes, Giusto di Gand, ecc.), per il suo contributo alla formazione di un nuovo linguaggio unitario.
Del resto occorre tener conto che la pittura fiamminga, a partire dai Van Eyck, esprimeva un'esigenza analoga a quella presente nell'arte italiana, reagendo, a suo modo, all'indefinitezza dello spazio gotico. Si può comunque affermare che, mentre in Italia sorse e maturò la nuova visione prospettica, il resto d'Europa proseguì ancora a lungo nella fase più fiorita dell'arte gotica, e senza seguito restarono i primi, ancora occasionali, contatti tra i due mondi: si pensi al viaggio di Masolino in Ungheria, a quello di Andrea Sansovino in Portogallo, o di Francesco Laurana nella Francia meridionale.
La stessa opera di Dürer, con il suo profondo interesse per l'arte italiana e la non scarsa fortuna che egli godette in Italia, resta poco più di un episodio. Soltanto con le campagne militari straniere in Italia si intensificarono e si fecero più sistematici i contatti con la cultura italiana da parte del resto d'Europa. Un esempio di questi contatti è fornito dall'enorme richiesta di quadri a Tiziano da parte della corte spagnola, con Carlo V e Filippo II. A Madrid lavorarono inoltre Pellegrino Tibaldi e Leone e Pompeo Leoni. Ma il caso più famoso della diffusione dell'arte italiana in Europa, e anche il più importante, fu offerto dalla cosiddetta scuola di Fontainebleau, sorta intorno ai soggiorni di artisti italiani presso la corte di Francesco I, a partire dal 1530. Le opere e la presenza del Rosso Fiorentino, del Primaticcio, di Niccolò dell'Abate, di Sebastiano Serlio, di Benvenuto Cellini determinarono il sorgere di un gusto che, estendendosi alle arti decorative, si diffuse in tutta l'Europa. Nacque così un interesse sempre più vivo ed esteso per l'arte italiana: il fatto che questa si diffondesse nella sua fase manieristica e che venisse poi accolta e rielaborata negli aristocratici ambienti delle corti portò alla costituzione di uno stile ricco e decorativo, che solo impropriamente può essere definito rinascimentale, ma che assolse all'importante compito di fondare le premesse per una unità artistica europea nell'età barocca.